Il libro (in verità in 2 copie, frutto di un doppio regalo) giaceva sulla libreria da circa un anno. Non sono un gran lettore, sicuramente non quanto vorrei esserlo, ma il tempo è tiranno e, salvo legger di notte, tipicamente approfitto delle vacanze per smaltire, almeno un po’, ma sempre in misura insufficiente, la coda. Quest’anno, in particolare, prima di ammalarmi (con la bronchite è venuto pure il mal di testa a complicar le cose) ho iniziato (e finito, in un battibaleno) il secondo libro di Khaled Hosseini: mille splendidi soli. Paragonarlo con il primo, grande capolavoro (il cacciatore di acquiloni), è impossibile. Sono così uguali (l’ambientazione, la durezza) e così diversi (la storia, i protagonisti). Mi è piaciuto, decisamente, e mi ha fatto pensare (cosa che ritengo ancor più interessante) ad un popolo, quello Afghano, che più volte nel corso della storia è stato portato vicino al collasso, alla distruzione totale, al punto che, quando tutto pareva superato (i russi lasciarono l’Afghanistan nel 1989 (ma va?)) il popolo Afgano (o parte di esso, evidentemente), così abituato alla guerra e agli scontri, pensò bene di portare lo stato vicino all’implosione e all’auto annientamento almeno 3 volte (comunisti, mujaheddin e, per ultimi, i terribili talebani).

Non è un libro storico, e non credo neppure lo voglia essere, ma un buon romanzo (un po’ tragico, non adatto a chi, come Silvy, ama più le storie d’amore che le tragedie), ma fa uno spaccato della storia Afghana da far venire la pelle d’oca. All’alba del 3° millennio accadevano cose indicibili e, purtroppo, oggi accadono ancora, magari altrove … e la comunità internazionale che faceva? NULLA! E’ un paragone certamente forte, ma mi ricorda dannatamente l’astinenza dall’intervento del Vaticano durante il nazismo … Bo, sono confuso, è un libro che ti rivolta la testa, oltreché lo stomaco. Mentre digerisco, comunque, ve lo consiglio: leggetelo!

Di Ste